Chirurgia bariatrica: la primavera nella cura dell’obesità?

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Le 3 minacce globali 

Un anno prima la rapida ascesa della COVID-19, che ha mietuto milioni di vittime in tutto il mondo, la commissione della rivista Lancet ha pubblicato un rapporto in cui si sostiene che oggi le grandi minacce globali che minano salute e sopravvivenza umana sono 3: cambiamenti climatici, denutrizione e obesità. È stato utilizzato il termine “sindemia” per insistere sulla profonda correlazione che sottende a questi tre fenomeni, apparentemente scollegati: in tutti i casi abbiamo dei determinanti biologici e sociali, e l’uno non si spiegherebbe senza contemplare la presenza dell’altro.

Se prendiamo la sovralimentazione che provoca obesità, questa alimenta il cambiamento climatico attraverso un consumo di prodotti ultra processati e di origine animale, e contestualmente sfruttamento di suolo e risorse per il foraggio degli allevamenti, tra i principali produttori di CO2 e altri gas serra. 

Globesity 

Sempre su Lancet è stata pubblicata, in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità che ricorre il 4 marzo, un’analisi globale riferita ai dati del 2022: soffrono di obesità nel mondo 879 milioni di adulti e 159 milioni di bambini e adolescenti.

Non a torto l’OMS, a sottolineare le proporzioni epidemiche e il relativo costo umano e socio-sanitario dell’obesità, conia il termine “Globesity”.

Secondo modelli predittivi, entro il 2030 più di un quarto dell’intera popolazione mondiale, circa 1.9 miliardi di persone, sarà obesa, e metà della popolazione con sovrappeso. 

Dati italiani

In Italia oggi questa piaga affligge circa il 10% della popolazione (6 milioni di persone) con trend in costante aumento e che ha visto un’accelerata nel periodo della pandemia da COVID19, parallelamente a una minore afferenza ai centri specializzati nella cura dell’obesità.

Confronto tra noi e l’Europa

In Europa il tasso di obesità è pari a circa il 19% e questo scarto del 9% potrebbe essere imputabile alla salubrità della nostra dieta, più prossima al modello mediterraneo, mentre nel resto dell’Europa la fa da padrona la cosiddetta dieta western di derivazione nordamericana, più ricca di grassi saturi, sale e zuccheri raffinati.

Non a caso, se facciamo dei confronti con l’oltreoceano, il nord America ha il primato mondiale per incidenza e prevalenza dell’obesità, mediamente 3 volte di più che in Italia e pari a circa il 35% della popolazione.

I giovanissimi obesi in Italia

Questi termini di paragone non ci devono comunque confortare perché le ultime indagini epidemiologiche post pandemia hanno consegnato un quadro preoccupante circa l’aumento dell’obesità infantile in Italia. Se non siamo i più obesi in Europa lo sono i nostri figli e fratelli minori: 9,4%, ovvero 1 bambino su 10, soffre di obesità.

Gli obesi giovani spesso trascinano l’obesità in età adulta e non è infrequente che un soggetto con obesità grave che si sottopone a chirurgia bariatrica non abbia una storia molto lunga di obesità, fin dalla prima infanzia. Come per ogni altra patologia cronica, maggiore il numero di anni di malattia scompensata e peggiore è la prognosi e l’aspettativa di vita: malattie cardiovascolari, neurodegenerative e tumorali sono più di un vago miraggio.

Un altro problema è la minore responsività alle cure, che passino dal semplice aggiustamento dello stile di vita, alla dietoterapia, farmacoterapia e, come ultima spiaggia, alla chirurgia bariatrica.

I danni dell’obesità 

Sin dagli albori della storia e in quasi tutte le culture l’obesità è sempre stata oggetto di scherno. La civiltà greca fu la prima a capire che si trattava di un disturbo medico: “La corpulenza non è solo una malattia in sé, ma il presagio di altre”, scriveva Ippocrate.

Oggi sono stati compiuti, senza ombra di dubbio, diversi passi avanti e sono state individuate oltre 50 patologie obesità-correlate e per le quali un BMI superiore a 30 è fattore di rischio, indipendente o meno. Senza enumerarle tutte, le più degne di nota sono:

  • malattie cardiovascolari (malattie ischemiche del cuore, come l’infarto acuto del miocardio e l’angina pectoris, e le malattie cerebrovascolari, come l’ictus ischemico ed emorragico);
  • malattie neurodegenerative, come forme di demenza e la malattia di Alzheimer
  • diabete mellito di tipo 2;
  • disturbi epatici (in ordine di apparizione: steatosi epatica, steatoepatite, fibrosi e cirrosi epatica);
  • malattie della cistifellea (calcoli alla cistifellea, colecistite e colesterolosi);
  • reflusso gastroesofageo (e la sua eventuale stadiazione in esofago di Barrett e adenocarcinoma);
  • artrosi;
  • gotta;
  • sindrome da apnee ostruttive del sonno;
  • sindrome dell’ovaio policistico (iperandrogenismo e oligomenorrea) nella donna, ipotestosteronemia, infertilità e disfunzione erettile nell’uomo;
  • disturbi dermatologici (strie, ipercheratosi plantare, fibromi penduli, l’intertrigine, pseudoacanthosis nigricans, cheratosi pilare, linfedema e aumento di infezioni batteriche);
  • disturbi psicologici e psichiatrici (umore disforico, depressione, disturbi del comportamento alimentare);
  • sarcopenia;
  • tumori (colon-retto, seno, endometrio, fegato, esofago, pancreas, cistifellea, reni, leucemia).

La stretta associazione lineare tra BMI (indice di massa corporea) e rischio cardiovascolare è indiscussa, così come il dato di fatto che le malattie cardiovascolari costituiscono la prima causa di morte nei paesi industrializzati. Il diabete mellito di tipo 2, per le sue note complicanze, è un comprovato fattore di rischio di malattia cardiovascolare, e in Italia il 20-30% di obesi è anche diabetico.

E secondo uno studio statunitense pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama, per ogni singolo anno in cui il paziente obeso mantiene il suo adipe in eccesso aumenta del 2-4% il rischio di aterosclerosi, condizione che può rimanere asintomatica anche per decenni.

Introduzione alla chirurgia bariatrica o metabolica

Laddove correzione dello stile di vita, terapia nutrizionale e farmacoterapia non diano i risultati sperati o non li mantengano a lungo, previa dichiarazione di idoneità, può intervenire la chirurgia bariatrica o endoscopica.

Negli ultimi anni sta andando in disuso il termine “bariatrica” e al suo posto si utilizza “metabolica” per spostare il focus dal mero e semplice calo ponderale al ruolo terapeutico dell’intervento chirurgico nei confronti delle comorbidità dell’obesità. Molte patologie come diabete, ipertensione, steatosi epatica non alcolica o sindrome delle apnee ostruttive del sonno possono andare in piena remissione non solo per un effetto diretto legato alla perdita di peso e alla migliore alimentazione, ma anche per l’effetto ormonale e metabolico intrinseco di alcune procedure chirurgiche.

Trattandosi di una patologia cronica a eziologia multifattoriale, è altresì importante che quello che nell’ideazione di buona parte dei pazienti malati sia l’ultimo fine del percorso, ovvero la perdita di peso, diventi al contrario un mezzo per raggiungere il benessere fisico e psicologico, quello che dovrebbe essere il vero e ultimo scopo. 

Non è ovviamente auspicabile arrivare a condizioni morbose tali da richiedere urgentemente il percorso bariatrico. Ma questo, se seguito con consapevolezza, presentandosi alle periodiche visite di controllo, aderendo alle indicazioni sullo stile di vita, e con l’ausilio, se necessario, di un supporto psicoterapeutico e psichiatrico, può essere molto educativo, risolutivo e migliorare il nostro rapporto a 360 gradi con il cibo e l’accettazione del nostro corpo. Spesso i pazienti che si rivolgono, non senza ovvi timori, alla chirurgia, hanno alle spalle diversi tentativi di diete, anche molto restrittive, che hanno portato a una perdita di peso transitoria e a un successivo recupero “con gli interessi”, e questo peggiora il core psicopatologico del paziente e polarizza il suo approccio al cibo, croce e delizia allo stesso tempo. La chirurgia, affiancata da un percorso psicologico e di educazione nutrizionale, può cambiare per sempre la vita del paziente. Evidenza inconfutabile poiché supportata dalla letteratura e dalle testimonianze di chi l’ha vissuta in prima persona.

Importanza dello screening preoperatorio

Per poter decidere in maniera inequivocabile sulla fattibilità di un intervento è importante l’inquadramento diagnostico del paziente, corredato da una anamnesi a tutto tondo: fisiopatologica, clinica, chirurgica e familiare. è necessario conoscere la sua storia passata, come e perché è arrivato a congetturare l’idea che un intervento chirurgico risolva definitivamente i suoi problemi. Questa parte del lavoro dell’equipe è rilevante forse ancora di più della messa in opera dell’intervento: è necessario escludere cause secondarie di obesità (sindromi genetiche, disfunzioni ormonali, ecc) e valutare qualsiasi condizione che controindichi l’avvio di un iter bariatrico. Il paziente deve essere sufficientemente motivato e dimostrare di poter aderire alle indicazioni e preferibilmente non soffrire di un disturbo del comportamento alimentare (Binge Eating Disorder, Night Eating Disorder, Food Addiction) o di un altro disturbo psichiatrico ben radicato.

Al paziente sarà richiesto un pannello di esami, sia di laboratorio che strumentali, volgarmente detto “pacchettone”, a braccetto con colloqui psicologico-psichiatrici per caratterizzare al meglio il rapporto rischio/beneficio peri-, intra- e postoperatorio.

Gli esami in corso di valutazione di idoneità all’intervento cercano di rispondere a diversi quesiti:

  • se e quanto è complicata l’obesità, 
  • se sarebbe da consigliare o meno (e come metterlo in pratica) di perdere almeno il 5-10% del peso attuale prima dell’intervento
  • se l’obesità è secondaria quindi conseguente o correlata temporalmente ad altre condizioni come ad esempio l’ipotiroidismo. 

Non meno rilevante è saggiare la presenza di livelli deficitari di vitamine e minerali che dopo l’intervento impiegherebbero molto più tempo a normalizzarsi, nonostante la terapia con integratori. In letteratura gli studi concordano nell’evidenziare nella popolazione di soggetti obesi valori mediamente sotto il limite inferiore di vitamine A, B6, B12, C, D, E, folati e ferro: ne sono complici la dieta sbilanciata povera di frutta e verdura, uno stato  infiammatorio sistemico cronico e l’eccesso di tessuto adiposo che sequestra le vitamine liposolubili (A, D, E, K).

Il “pacchettone”

Comunemente, in un centro multidisciplinare per la cura dell’obesità, in vista di un potenziale intervento bariatrico, le visite tendenzialmente effettuate dovrebbero essere:

  • VISITA CHIRURGICA
  • VISITA ENDOCRINOLOGICA
  • VISITA PNEUMOLOGICA e/o di MEDICINA DEL SONNO
  • VISITA DIETISTICA
  • VISITA PSICOLOGICA
  • VISITA PSICHIATRICA

Gli esami prescritti invece dovrebbero consistere in:

ESAMI EMATOCHIMICI

  • emocromo con formula 
  • assetto marziale, transferrina, ferritina
  • profilo glucidico
  • elettroforesi proteica, 
  • funzionalità epatica e renale, 
  • funzione tiroidea e paratiroidea, 
  • profilo lipidico, 
  • uricemia, 
  • calcio, 
  • vitamina B12, 
  • vitamina D
  • folati, 
  • cortisolemia e cortisolo urinario delle 24 h (CLU/24h), 
  • omocisteinemia, 
  • ricerca di anticorpi contro Helicobacter pylori (ed eventuale consegna di terapia a base di antibiotici e gastroprotettori)

VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA

  • spirometria
  • eventuale saturimetria, 
  • polisonnografia, 
  • EGA

VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ CARDIACA

  • Rx torace
  • ECG

ESOFAGOGASTRODUODENOSCOPIA con biopsie di corpo e antro gastrico (con possibilità di eseguirla in sedazione in alcuni centri, se non tollerata per presenza di riflesso del vomito)

(eventuale) MANOMETRIA ESOFAGEA in presenza di esofagite, spesso causata dal reflusso gastroesofageo

ECOGRAFIA  ADDOME COMPLETO

QUESTIONARI PSICOLOGICI 

  • per la depressione (BDI), 
  • per il Binge Eating Disorder (BED)
  • per la misurazione dell’ansia (STAI-Y1/2). 

Prepararsi, non solo psicologicamente 

A prescindere dal tipo di intervento scelto, l’equipe specialistica cercherà di convincere il paziente della necessità di iniziare fin da subito a correggere alcuni aspetti dello stile di vita per rientrare in alcuni intervalli ematici e di funzionalità, al fine di minimizzare i rischi operatori (ad esempio quelli anestesiologici), ma anche per facilitare e rendere più realizzabile il successivo percorso di lenta rinascita post-intervento. 

Un obiettivo da non rimandare è sicuramente la normalizzazione della glicemia pre-intervento, cercando di non oltrepassare la soglia di 180 mg/dL a digiuno: livelli di glucosio elevati comportano una ritardata guarigione delle ferite, aumento delle complicanze infettive, prolungamento della degenza in ospedale e una più elevata mortalità post-operatoria, e quest’ultima a prescindere dall’intervento subito. 

Quanto maggiore è il peso prima dell’intervento, tanto più sarebbe auspicabile un calo ponderale preliminare, come precisano le linee guida della Società Italiana per la Cura dell’Obesità (SICOB) del 2016. Il razionale di questo ulteriore sforzo da parte del paziente sta nel fatto che assottigliare lo spessore del grasso viscerale e i depositi di tessuto adiposo nel fegato agevola l’esecuzione dell’intervento, abbreviando i tempi, riducendo il rischio di conversione e migliorando i risultati a breve e lungo termine.

Requisiti minimi per l’operazione

Da qualche decennio non si apre più la pancia del paziente perché si dispone di tecniche laparoscopiche mininvasive. Nella fattispecie, le più praticate sono: sleeve gastrectomy, bypass gastrico Roux-en-Y, bendaggio gastrico e palloncino intragastrico.

Per avere il via libera all’intervento tutti i componenti che formano l’equipe interdisciplinare devono essere d’accordo. Anche se la valutazione viene fatta caso per caso, sono stati individuati dei I requisiti minimi indispensabili allo scopo di delineare un perimetro di azione: età adulta (18-65 anni), obesità di classe III (BMI >40 kg/m²) in assenza di ogni altra comorbilità, obesità di classe II (BMI >35 kg/m²) con comorbidità (diabete mellito di tipo 2 resistente al trattamento medico, cardiopatie ischemiche e ipertensive, OSAS, artropatie, ernia iatale), obesità di classe I (BMI tra 30 e 35 kg/m²) in presenza di diabete mellito di tipo 2 non controllato dalla terapia medica, sovrappeso (BMI ≤30 kg/m²) alle stesse condizioni degli obesi di classe I, ma esclusivamente nel contesto di studi clinico-scientifici prospettici controllati.

Quali interventi?

A seconda che il chirurgo recide o mantiene porzioni di stomaco, cosa taglia e come anastomizza, ogni intervento ha un effetto primario differente nel promuovere il calo ponderale. Classicamente distinguiamo:

● interventi restrittivi (Bendaggio Gastrico Regolabile, Plicatura gastrica) che influiscono sull’introito di cibo attraverso una limitazione del volume dello stomaco;

● interventi malassorbitivi (Diversione Biliopancreatica di Scopinaro) che determinano l’assorbimento di solo una parte delle sostanze assunte con il cibo (ormai non più praticate);

● interventi misti (Sleeve Gastrectomy, Bypass Gastrico) a finalità sia restrittiva sia sull’assetto ormonale e metabolico. 

Bypass gastrico e Sleeve gastrectomy sono gli interventi chirurgici ad oggi più utilizzati per efficacia terapeutica e buon profilo rischi/benefici.

Sleeve gastrectomy 

La sleeve gastrectomy (“gastrectomia a manica”) è l’intervento più eseguito in tutta Italia: seppur irreversibile, è innegabilmente vantaggioso al netto di lievi e sparuti effetti collaterali. Non servono integratori di micronutrienti e proteine a vita, ma solo in fase di svezzamento, perché dalla sua ha anche il vantaggio di non avere un effetto malassorbitivo.

Tramite tecniche laparoscopiche viene operata una riduzione volumetrica pari al 70% (circa 4/5 del volume complessivo) dello stomaco asportando tutta la grande curvatura. 

Lo stomaco passa così da una forma a bisaccia, che idealmente può contenere fino a 1 kg di pasta, a uno stretto manicotto, che ne può immagazzinare al massimo 40 g, meno della metà di una porzione standard. 

Gli attacchi di fame diventano solo un ricordo e il senso di sazietà arriva più precocemente: sia perché lo stomaco è più piccolo, sia perché si rimuove una porzione mucosa antrale e pilorica dove vive la popolazione di cellule G che secernono gastrina, ormone che fa aumentare il senso di fame.

Il target che ne guadagna maggiori benefici sono solitamente soggetti iperfagici e di sesso maschile, con diagnosi di diabete, reflusso gastroesofageo e obesità di terzo grado.

La maggior parte del peso viene perso nei primi 3 mesi, corresponsabile anche le calorie che si riescono a introdurre, e è di un intervallo medio di 30-35 kg. Ma se il paziente non esce dai binari può continuare a calare di peso per 1 anno – 1 anno e mezzo fino a perdere il 60% del peso in eccesso e al netto di un rischio modesto, pari al 20-30%, di recuperarlo.

Bypass gastrico 

Segue a ruota per frequenza di applicazione l’opzione bypass gastrico. Analogamente alla sleeve gastrectomy, c’è un effetto metabolico appaiato a quello di restrizione meccanica della capacità dello stomaco e non comporta uno stato malassorbitivo dei nutrienti introdotti con l’alimentazione. Lo svantaggio seppur trascurabile e arginabile rispetto alla sleeve gastrectomy è il riscontro più frequente di carenze in alcuni micronutrienti (vitamine e minerali) per i quali bisogna supplementare con integratori in maniera ciclica o continuativa, a seconda dei valori degli esami ematochimici del paziente, e spesso per tutta la durata della vita.

È l’intervento gold standard per una migliore risoluzione del diabete in primis, ma anche di ipertensione, apnee notturne e reflusso gastroesofageo e non costituisce altresì criterio di esclusione la presenza di ernia jatale superiore di 5 cm, previa iatoplastica.

Sempre per mezzo di bisturi e di una sonda endoscopica, si confeziona una piccola tasca gastrica, detta appunto “pouch”, delle dimensioni di 20-30 cc (che corrisponde all’incirca alle dimensioni di un brick di succo di frutta), che si collega all’intestino scavalcando (da qui il termine “bypass”) un tratto di lunghezza variabile della porzione prossimale del duodeno, il quale verrà pertanto escluso dal passaggio del chimo acido.

A seguire si fa una seconda anastomosi suturando il primo tratto di intestino con quello collegato alla pouch gastrica che riceve il bolo alimentare, mentre la restante parte dello stomaco che non riceve più il cibo deglutito conserva la sua attività motoria e secretoria.

Tutto lo stomaco, a differenza della sleeve, rimane in sede e pertanto la secrezione dell’ormone gastrina, oressigeno, è conservata; l’effetto ormonale è legato all’amplificazione di ormoni gastrointestinali come la colecistochinina che vanta un effetto lievemente ipoglicemizzante e anoressizzante. Il risultato è che la sazietà è maggiore e i livelli glicemici misurati sono più bassi sia postprandiali che a digiuno.

Il salto di intestino che rimane escluso dal transito alimentare non è considerevole e questo spiega il ridottissimo effetto malassorbitivo che deve la sua origine in cambiamenti nella composizione della bile, della flora intestinale e dei livelli ormonali. 

Molto confrontabile è l’entità del calo ponderale rispetto alla sleeve gastrectomy: si stima infatti che si possa perdere fino al 65-70% del peso in eccesso a 1-2 anni dall’intervento.

Implicazioni neurobiologiche

L’effetto metabolico di un intervento bariatrico misto può dare un tangibile segno di sé anche in modi che non avremmo mai ipotizzato. Una alterazione dell’anatomia gastrointestinale si ripercuote in un segnale diretto all’ipotalamo, sede dei centri di fame e sazietà, completamente distinto, e difforme è anche la secrezione di ormoni gastrointestinali essendo sensibilmente modificato il volume del cibo, il tipo e la velocità del transito. Quindi la sazietà non è imputabile ai soli segnali di stiramento meccanico delle pareti dello stomaco che si riempie prima, ma anche a un maggiore reclutamento di ormoni ad azione anoressizzante. Attraverso una variazione nei livelli dell’ormone GLP-1 rilasciato nell’intestino dalle cellule recettrici del gusto dolce, aumenta inoltre l’acuità gustativa e, conseguentemente, diminuisce il valore edonistico attribuito agli alimenti dolci.

Come muta la risposta neurale ai dolci, anche i cibi ricchi di grassi, energeticamente densi e iper palatabili sono meno desiderati, e questa disedonia alimentare si unisce all’utile del facilitare il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal paziente, in termini di perdita di peso e non solo.

Alimentazione post intervento

Sleeve e bypass restituiscono uno stomaco di volume ridotto, e sia stomaco che intestino edematosi e con ferite che devono lentamente rimarginare: il transito alimentare a livello delle suture deve essere attentamente controllato e il passaggio di cibo solido nelle prime settimane di convalescenza, oltre a dare vomito e rigurgito, sarebbe molto pericoloso.

Questo dà ragione all’importanza di una serie di accorgimenti alimentari e dell’osservanza di una dieta di svezzamento a diverse fasi, ben cadenzate nel tempo, di almeno un mese e mezzo.

La stragrande maggioranza dei protocolli nutrizionali suggerisce una dieta di consistenza liquida o molto cremosa, a basso contenuto di zuccheri semplici, nei primi giorni/settimane post intervento, interrompendo il digiuno dopo una valutazione radiografica che provi che tratto gastrointestinale e valvole annesse funzionino a dovere. Terminate le prime settimane di passata di verdure e omogeneizzati, si entra in una fase di dieta semiliquida, poi semisolida, solida e dopo circa un mese e mezzo si giunge a destinazione con la dieta di mantenimento. 

Con il recupero progressivo della funzionalità digestiva e a un nuova soglia di equilibrio nelle sensazioni di fame e sazietà, si può ritornare a mangiare pressoché tutti gli alimenti con moderazione avendo cura di seguire degli accorgimenti su come, quando mangiare e che cosa mangiare fuori casa nelle occasioni conviviali.  

Il “what I eat in a daydi un post bariatrico

Ormoni che vincono la fame e stomaco grande quanto una tasca o un tubulo strettissimo vedono una ovvia riduzione dell’introito calorico giornaliero dall’altro lato dell’equazione.

Una domanda che può sorgere spontanea è a questo punto quanto riesce a mangiare un paziente obeso dopo chirurgia bariatrica.

Il regime dietetico prescrive delle porzioni molto ridotte anche a confronto con la dieta di un bambino che frequenta le scuole elementari: con una unità di misura casalinga, mediamente un pasto completo di un paziente bariatrico equivale a 4-6 cucchiai da tavola. A conti fatti, presupponendo che il soggetto sia ligio a rispettare le proporzioni tra i macronutrienti energetici (carboidrati, proteine e grassi), l’introito energetico giornaliero, che include colazione e i vari spuntini, parte dalle 500 kcal nella fase di alimentazione liquida e progressivamente, evolvendo verso alimenti di consistenza solida, a un massimo stimato di 1200 kcal. 

Valori considerevolmente inferiori al metabolismo basale di un adulto medio, che è l’energia richiesta all’organismo per preservare le sue funzioni vitali a riposo; ma questo non deve spaventare, perché c’è una mole di massa adiposa che si può mobilitare al bisogno per fornire tutto il carburante necessario. per la vita di tutti i giorni.

Di queste calorie 

  • il 25% circa dovrebbero essere date dalle proteine (1 – 5 g/kg di peso ideale/die quindi mediamente 60-80 g/die)
  • il 45% da carboidrati
  • Il 30% da lipidi (20 g/die pari a 2 cucchiai da tavola)

Quando il soggetto operato bariatrico apparecchia la tavola, si dovrebbe servire un unico piatto riempito così:

  • 2-3 cucchiai da tavola di fonti di proteine, preferibilmente ricchi in ferro e di proteine ad alto valore biologico
  • meno di un quarto di piatto di fonti di carboidrati, 
  • più di un quarto di piatto di verdure e ortaggi come fonte di micronutrienti 

Deficit nutrizionali: proteine e micronutrienti

A dispetto della tradizione, si dovrebbe consumare prima il “secondo piatto”, poi il “contorno” e infine, se sentiamo che avanza ancora dello spazio nello stomaco, il “primo piatto”. Le proteine devono avere la precedenza per scongiurare la perdita di massa magra e controbilanciare i fattori di ridotto introito proteico (masticazione inadeguata, riduzione della secrezione di acido cloridrico e riduzione della secrezione e attivazione degli enzimi proteolitici). Per la fase di svezzamento viene inoltre solitamente aggiunto un integratore di proteine del siero di latte in polvere per assicurarsi di arrivare al proprio target di fabbisogno proteico.

Gli interventi misti come sleeve gastrectomy o bypass gastrico possono condurre a carenze nutrizionali normalmente lievi a carico soprattutto di vitamina D, vitamina B12, calcio e ferro. Delle altre vitamine liposolubili (A, E, K) e di quelle idrosolubili del gruppo B normalmente non si va incontro a carenza, circostanza che riguarda interventi malassorbitivi per definizione ma che ad oggi non si effettuano se non raramente, come la diversione biliopancreatica.

Ci sono linee di integratori con vitamine e minerali nei dosaggi cuciti su misura del paziente bariatrico, ma la supplementazione non garantisce una protezione assoluta di deficit nel lungo termine a causa di variazioni individuali nell’assorbimento di micronutrienti, fabbisogni nutrizionali differenti e soprattutto la compliance (aderenza) talvolta scarsa.

Il valore di una integrazione di micronutrienti trascende l’intervento in sé, perché in realtà l’obesità stessa è foriera di potenziali carenze di ferro, calcio, altri minerali e di vitamine soprattutto liposolubili, e le cause sottostanti sono normalmente dieta sbilanciata e povera in alimenti vegetali, stato infiammatorio sistemico cronico ed eccesso di tessuto adiposo che diluisce in esso un maggior carico di vitamine liposolubili (= solubili nei grassi).

Dumping syndrome e plugging

Un soggetto sano, come auspicabilmente molti voi lettori, può ingurgitare un panino al volo, bere acqua o bevande gassate tra un boccone solido e il successivo e non accusare dispepsia, dolori, nausea, vomito e alterazioni dell’alvo. 

Questo non vale assolutamente per un paziente bariatrico, che mangiando e bevendo male può trasformare un momento di piacere e convivialità in un inferno.

Il vomito, per citare in causa uno dei tantissimi sintomi, si stima possa coinvolgere il 60% dei pazienti operati ed è legato alla pressione esercitata sulle pareti dello stomaco in seguito all’aver mangiato o bevuto troppo in quantità e velocità.

L’effetto marcatamente restrittivo indotto da sleeve gastrectomy e bypass gastrico, a fianco di abitudini alimentari scorrette, è all’origine dell’esordio non infrequente della cosiddetta “dumping syndrome”. 

Il minuscolo stomaco trattiene per un tempo minore il bolo deglutito e, nel caso del bypass gastrico, l’esclusione della valvola pilorica dal transito alimentare, fanno sì che il cibo raggiunga troppo rapidamente l’intestino tenue. Se la matrice alimentare è ricca di zuccheri semplici (saccarosio, fruttosio, galattosio, lattosio, e così via) questo comporta delle spiacevoli sensazioni che occorrono entro i primi 15 minuti o dalla prima alla terza ora dopo il pasto, e si parla rispettivamente di dumping precoce e dumping tardivo. Il 40% dei pazienti operati di sleeve o bypass al termine del pasto accusa una sequela di sintomi vasomotori (palpitazioni, sudorazione, debolezza, pallore) che accompagnano quelli gastrointestinali (dolore addominale, diarrea, gonfiore, nausea). Le manifestazioni fanno capolino quando la glicemia scende di diverse unità sotto il valore basale, e l’ipoglicemia è reattiva alla massiccia secrezione di insulina conseguente all’approdo simultaneo di grosse quantità di zucchero nel sangue; successivamente alla prima fase postprandiale, ma solo nel 25% dello stesso campione di pazienti, l’ipoglicemia può determinare un dumping più tardivo con ulteriore debolezza, sudorazione, svenimenti, stato confusionale e tremori.

L’entità e il numero di episodi di ipoglicemia sono più significativi negli operati di bypass: e infatti, si è visto che i livelli di un ormone gastrointestinale ipoglicemizzante, il GLP-1, erano di 10 volte più elevati dopo il pasto. Motivo per il quale, questa sottopopolazione bariatrica deve prestare maggiore attenzione a seguire pedissequamente le indicazioni fornite dal dietista nel postoperatorio.

Il plugging invece è un correlato di sintomi, dalla sensazione di avere un tappo a livello epigastrico, a dolore allo stomaco, nausea e vomito. Il minimo denominatore comune con la dumping è che la causa risiede nel comportamento alimentare scorretto: in questa casistica, cattiva masticazione, voracità nel consumo o volume eccessivo di pasti prevalentemente solidi, a base ad esempio di pasta a lungo formato, pane e carne troppo cotta e in generale stopposa o fibrosa. Interessa sia i convalescenti post sleeve che quelli post bypass, ma anche chi non ha subito tagli chirurgici e se l’è cavata con un “semplice” bendaggio. 

Le nostre scelte e abitudini alimentari vengono plasmate anche dai vissuti spiacevoli associati al pasto e non sempre il cambiamento è favorevole per il consolidamento e mantenimento dei risultati di salute ottenuti. Nella fattispecie del plugging, il terrore di rivivere quell’intenso fastidio che si protrae anche dopo l’espulsione del tappo per via orale, potrebbe orientare la scelta verso alimenti morbidi o semiliquidi, che abbandonano più in fretta la stomaco riattivando in meno di un’ora il senso di fame e nel lungo termine il peso va in stallo e poi risale lentamente di nuovo.

Qualche post-it sul frigorifero

Insomma: un paziente bariatrico, se non vuole “resettarsi” a prima dell’intervento, non avere spiacevoli sensazioni postprandiali e ripristinare le proprie fisiologiche sensazioni di fame e sazietà, deve rispettare diverse regole comportamentali nella scelta e nella modalità di alimentazione. Vale la pena di menzionarne alcune di queste, perché la gran parte delle persone che abitano le giungle metropolitane ha totalmente perso la bussola nel suo rapporto con il cibo e con le proprie sensazioni corporee. 

In fase di svezzamento (per i primi 1.5 – 2 mesi dall’intervento) è essenziale raccomandare di evitare o limitare alimenti, intingoli, spezie o altro che potrebbe irritare o aumentare l’acidità di stomaco precorritore del reflusso gastroesofageo (bevande contenenti caffeina, alcune spezie come curcuma e curry, aglio, cipolle, pomodori, peperoni, agrumi, frutta acerba, menta, zenzero, pepe e peperoncino).

Approdati alla fase della dieta di mantenimento, bisogna fare tesoro dell’educazione alimentare ricevuta percorrendo le diverse fasi di svezzamento e pertanto, anche se a questo punto del percorso è possibile mangiare pressoché qualsiasi cosa e di qualsiasi consistenza, temperatura, acidità, non bisogna mai dimenticare quanto ci è stato caldamente suggerito di fare una volta dimessi dall’ospedale:

  • imparare a masticare lentamente e a piccoli bocconi, premurandosi di far durare il pasto almeno 20-30 minuti (tempo trascorso il quale l’intestino comunica al cervello della scatola cranica che può bastare così e che non serve introdurre altro);
  • frazionare l’alimentazione in 5-7 pasti (colazione, pranzo, cena e 2-4 piccoli spuntini) per non avvertire mai un senso incontrollabile di fame;
  • non coricarsi subito dopo il pasto, per evitare il rischio di reflusso e ritardare ulteriormente lo svuotamento gastrico;
  • per le stesse suddette ragioni, per non diluire i succhi gastrici e per non accelerare lo svuotamento gastrico, bere lontano dai pasti, fino a 30 minuti prima del pasto e 60 minuti dopo e a piccoli sorsi. Idratarsi con un quantitativo di liquidi che deve ammontare ad almeno 1,5 litri al giorno tra acqua, tè, camomilla, tisane, infusi, caffè d’orzo;
  • bandire completamente: bevande gassate, acque con effervescenza naturale ma anche compresse effervescenti, bevande zuccherate, marmellate, bevande troppo calde o troppo fredde per non irritare lo stomaco;
  • preferire cotture poco elaborate (bollitura, cottura a vapore, alla piastra);
  • in caso di pienezza eccessiva, alzarsi dalla sedia e fare una lenta passeggiata;
  • se operati di bypass gastrico, attenzionare maggiormente i cibi ricchi di zuccheri semplici (per non incorrere nella sopracitata dumping syndrome) e di fibra (per evitare il rischio di ostruzione intestinale, essendo più breve il tratto intestinale che riceve il cibo) 

Possono imparare anche i “non bariatrici”

Il supporto della famiglia è fondamentale e alcune di queste accortezze possono essere adottate dagli stessi famigliari perché di grande beneficio psicofisico anche per loro.

Un suggerimento chiave che andrebbe offerto a chiunque abbia una deformazione culturale occidentale, è quello di interrompere il pasto quando si inizia ad avvertire il senso di sazietà, indipendentemente dalla quantità di cibo avanzata nel piatto. Un soggetto in convalescenza da un intervento bariatrico lo deve fare per non sentirsi male e non dilatare lo stomaco, tutti gli altri dovrebbero farlo non unicamente per una mera questione calorica, ma soprattutto per abituarsi ad ascoltare il proprio corpo, correggendo step by step tante abitudini che in sinergia creano uno stile di vita anticamera di patologie croniche, mortalità precoce e peggiore qualità della vita.

Le abitudini sono in gran parte automatismi interiorizzati e poco mentalizzati e che ci portiamo con noi per inerzia; lavorando però sulle cause interne e su modalità diverse di affrontare situazioni esterne ed emozioni, si possono con pazienza modificare (con un percorso psicologico ad hoc). In questa sede, l’intervento bariatrico può rappresentare un trampolino di lancio perché all’inizio c’è un limite fisico a quello che possiamo introdurre e a come possiamo introdurlo, e poi c’è l’ovvio rinforzo positivo dato dai suoi rapidi effetti sulla nostra trasformazione fisica e parziale regressione delle comorbidità associate all’obesità. 

Cenni di farmacoterapia anti obesità

La farmacoterapia è una strategia terapeutica a cavallo tra le correzioni dello stile di vita e il percorso di chirurgia bariatrica e può agire su differenti bersagli molecolari (assorbimento dei grassi, senso di sazietà, termogenesi del tessuto adiposo bruno), in monoterapia o in associazione. Una classe di farmaci designata per tenere sotto controllo le iperglicemie nel diabete di tipo 2 ma che si è dimostrata funzionare molto bene per la perdita di peso è quella degli analoghi del GLP-1, ormone incretinico gastrointestinale. Tra questi, il Liraglutide è il più noto e utilizzato per permettere un calo ponderale anche in previsione di un futuro intervento bariatrico.

La somministrazione periferica di Liraglutide, nomi commerciali Saxenda o Victoza, si è provata ridurre il peso corporeo e la massa grassa mediante l’assorbimento in specifiche regioni cerebrali dove attivando in maniera specifica i recettori del GLP-1 (GLP-1R), ha aumentato i segnali di sazietà e soppresso quelli implicati nel senso di fame. Un altro bersaglio del principio attivo è la muscolatura liscia del tratto gastrointestinale, dove riducendo la motilità rallenta lo svuotamento gastrico e aumenta altresì il senso di sazietà.

Un soggetto malato di diabete se gli sono stati prescritti questi farmaci non può fare a meno di assumerli, viceversa il soggetto obeso che ha una finestra più ampia di opportunità di trattare la sua patologia. L’offerta di agonisti iniettabili del recettore del GLP-1 semaglutide (nome commerciale Ozempic) e liraglutide, per l’uso che è dilagato anche nei casi di lieve sovrappeso, sta diventando sempre più carente per curare i veri destinatari per i quali questa classe di farmaci è indicata, ossia “adulti con diabete mellito di tipo 2 non sufficientemente controllato in aggiunta alla dieta e all’esercizio fisico”. Sempre la fonte AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) precisa in seguito che “qualsiasi altro utilizzo, incluso il trattamento del sovrappeso/obesità, rappresenta un uso off-label”.

New entry: tirzepatide

Ad ogni modo, si sta affacciando all’orizzonte un nuovo farmaco incretinico che potrebbe rivoluzionare la cura dell’obesità, sotto l’egida della comunità scientifica che, per gli effetti sul peso e cardiometabolici, lo considera già una opportunità terapeutica alternativa alla chirurgia bariatrica: stiamo parlando del principio attivo Tirzepatide, farmaco di ultima generazione e doppio agonista di due ormoni gastrointestinali, GLP-1 e GIP. La contemporanea azione di mimare questi due messaggeri chimici, i quali hanno effetto entrambi su controllo glicemico e perdita di peso, permette di ottenere un effetto sinergico. Molto più efficace e a quanto sembra molto meglio tollerato: se escludiamo per esempio qualche effetto collaterale gastrointestinale di entità da lieve a moderata e intercorrente nella fase di escalation del dosaggio, a differenza degli altri principi attivi agonisti del GLP-1, non provoca vomito.

Gli studi pre immissione in commercio hanno coinvolto campioni di soggetti sovrappeso e obesi e con almeno una complicanza correlata al peso in eccesso, escluso il diabete: il cambiamento di peso dal tempo 0 a 72 settimane di terapia è stato dose-dipendente: del -15% con dosaggi settimanali di 5 mg, quasi del 20% con 10 mg e circa del 21% con 15 mg, schiacciando un netto vantaggio con il placebo che ha perso solo il 3% del peso. 

La chirurgia bariatrica non è onnipotente, il paziente quasi

Come alleato di dieta e attività fisica così come nel preoperatorio di un intervento bariatrico o di qualsiasi altro intervento, come la protesi d’anca in seguito a frattura, questo e farmaci analoghi sono molto promettenti e il repertorio di farmaci e nuove procedure chirurgiche sempre meno invasive non smette di allargare il suo perimetro.

E questo è un bene: la rapida e ostinata ondata epidemica dell’obesità travolge sempre più persone senza discriminazioni di sesso, età o razza, e allo stato attuale non ha nessuna intenzione di invertire la rotta. La chirurgia bariatrica si evolve velocemente, perché deve stare al passo con l’aumento di obesità che fa il paio con l’aumento parallelo dell’obesità grave e patologica. 

Il fenotipo obeso, fatto salvo nelle circostanze dell’obesità secondaria da cause genetiche, dipende per solo il 25% dai geni che ereditiamo, e per il restante 75% della torta è l’ambiente ad esercitare un ruolo decisivo. In poche parole, ambiente significa soprattutto stile di vita, fattori che possiamo controllare in maniera cosciente. 

Ecco perché la chirurgia bariatrica non è la panacea di tutti i mali e può rappresentare un’arma molto potente contro l’obesità, ma a doppio taglio: il successo non è solo nelle mani esperte del chirurgo, ma lo è soprattutto in quelle del paziente.

L’obeso che viene operato deve fare di tutto, nei limiti del suo spettro di azione e ammesso che il chirurgo abbia fatto un buon lavoro, per non incorrere in complicanze indesiderate (fistola, sanguinamenti, ulcere, lesioni) e per non dilatare il minuscolo stomaco alle dimensioni originali. Eventualità quest’ultima non infrequente, che si traduce in un nuovo aumento di peso e, se sussistono le condizioni, nella necessità di eseguire un successivo intervento per correre ai ripari. 

Ma ciò non deve sconfortare e non bisogna neppure stringere i denti per far fronte alle restrizioni dietetiche imposte perché, come abbiamo già ampiamente argomentato, l’intervento modifica molti setting anatomico-funzionali e metabolici. Il semi automatismo iniziale lascia il posto a uno sforzo di volontà successivo per restare sui binari, ma con il paracadute del supporto psiconutrizionale non ci sarà mai una caduta libera. 

E al piccolo prezzo di un po’ di lecita paura prima si guadagna qualcosa di incommensurabile dopo, in termini di qualità e quantità: fino a 10 anni di vita in più e muovendosi, mangiando, dormendo e performando in tutti gli ambiti della propria vita molto meglio.

Perché tutti hanno il dovere di informarsi

Obesità e chirurgia bariatrica dovrebbero essere argomento di discussione sganciati dalla torre d’avorio dell’accademia e della comunità scientifica. Alle orecchie e occhi di quante più persone dovrebbe passare il messaggio che l’obesità è una malattia vera e propria e che la chirurgia bariatrica può rappresentare un trampolino di lancio verso una nuova vita in salute, sia fisica che psicologica. Stando a queste righe che ovviamente non esauriscono nemmeno l’1% dello stato dell’arte sulla chirurgia bariatrica e metabolica, si può venire sopraffatti da paura e ansia. L’intervento fa paura ma anche il decorso postoperatorio, tra qualche sintomo spiacevole e millemila dubbi e domande che però, tempo al tempo, si risolveranno.

Destinatari di elezione del messaggio che si tenta di passare con questo articolo dovrebbero essere in primis i soggetti obesi, a qualunque livello di gravità, ma anche chiunque trascuri la propria salute o semplicemente voglia addentrarsi nei meandri della patologia per integrare il suo bagaglio di conoscenze sulla fisiologia. Perché è sempre quando ci sono dei guasti che si capisce a fondo come funziona qualcosa, e vien da sé che è sempre quando ci manca la salute che ci rendiamo conto di quanto questa sia importante.

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Biologa Nutrizionista, affamata di scienza e con il pallino per la scrittura. Nei limiti del fabbisogno informazionale dell’utente medio, scrivo articoli a tema alimentazione e nutrizione umana per incuriosire, appassionare, ma anche educare a un rapporto sano con il cibo e con il proprio corpo.