Alice attraverso lo specchio (d’acqua)

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Minima spesa, massima resa

0.1% è la frazione di tempo che ruberemmo alle 24h del periodo di rotazione terrestre per bere una quantità di acqua sufficiente ai nostri bisogni, mediamente 8 bicchieri colmi e considerando una decina di secondi per sorseggiarli. Poco tempo e massimo guadagno in termini di salute. Spesso si considera l’importanza di una sana alimentazione ma anche nella piramide alimentare della dieta mediterranea, sotto i prodotti ortofrutticoli, c’è lo scaffale riservato all’acqua, con un fabbisogno giornaliero che varia dai 6 agli 8 bicchieri. L’acqua è parte della dieta perché, di fatto, è un vero e proprio alimento.

Acqua = Alimento

“Un “alimento” è una qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento”

Così il regolamento comunitario n.178/2002 definisce il termine “alimento” e possiamo integrare questa definizione aggiungendo che è una qualsiasi fonte da cui possiamo estrarre principi nutritivi (macronutrienti e micronutrienti) necessari al nostro metabolismo. 

Fatte queste premesse, l’acqua risulta quindi avere a pieno titolo le proprietà per poter essere considerata un alimento, anche se si beve e non ha calorie. E questo lo comprendiamo meglio analizzando alcune delle sue funzioni biologiche:

  • occupa gran parte del volume delle cellule (ad eccezione di pochi tipi cellulari come gli adipociti bianchi);
  • è prodotto e reagente di reazioni biochimiche cellulari;
  • diluisce composti organici e inorganici;
  • veicola nutrienti ma anche di messaggeri chimici per consentire il dialogo tra organi e apparati;
  • migliora tono ed elasticità dei muscoli, rendendoli più efficienti nell’attività contrattile;
  • contiene micronutrienti che contribuiscono al bilancio elettrolitico dei liquidi extracellulari tra cui il plasma sanguigno;
  • partecipa alla regolazione della pressione del sangue e alla termoregolazione.

Una idratazione adeguata consente al corpo di digerire più agevolmente i nutrienti per estrarre energia, prevenire l’insorgenza di infiammazione e la ritenzione idrica.

Quanta acqua abbiamo e gli organi più “bagnati”

Per esplicare i suoi innumerevoli ruoli vien da sé che l’acqua debba essere ben rappresentata nel corpo umano. Infatti ne è il principale costituente arrivando circa al:

  • 60-62% del peso corporeo nell’uomo adulto di riferimento (70 kg);
  • 56-58% % nella donna adulta di riferimento (60 kg) (perché, proporzionalmente, ha maggiore grasso corporeo rispetto all’uomo);
  • 50% e 70% circa nelle persone obese e in quelle magre, rispettivamente;
  • 75% circa in un neonato;
  • 50% circa in una persona anziana.

Come ci è sempre stato insegnato durante le lezioni di chimica, acqua e grasso non vanno d’accordo e cercano di minimizzare la loro area di contatto reciproco. E infatti, mentre i muscoli contengono circa il 75% di acqua, le cellule del tessuto adiposo bianco, a fronte di un 90% circa del volume rappresentato da gocce infarcite di trigliceridi, ne contengono solo il 10%.

⅕ del volume delle ossa è costituito da acqua e, oltre al muscolo scheletrico, sono significativamente imbevuti di acqua i reni, per ovvie ragioni, e gli organi viscerali.

Liquidi intracellulari ed extracellulari in varie casistiche di sani e malati

28 bottiglie di acqua da 1.5 litri servirebbero per raggiungere la ragguardevole quantità media di acqua corporea di un uomo di 70 kg: dei 42 litri totali, 28 litri rientrano nei perimetri delle membrane cellulari, 10.5 litri bagnano direttamente le cellule e 3.5 litri formano il plasma sanguigno.

Per diletto, possiamo calcolare quanta acqua circola dentro e fuori le cellule, tenendo presente che, se non siamo bambini, anziani, donne gravide, obesi, gravemente ammalati o malnutriti, abbiamo il 60-65% di acqua intracellulare e il 35-40% extracellulare (suddivisa in interstiziale, plasmatica, linfatica e trans cellulare). 

Un soggetto anziano ha in proporzione più massa grassa a discapito di quella magra (acqua compresa): gli studi indicano che in media c’è una riduzione del 3% dell’acqua intracellulare che, per le funzioni esplorate poc’anzi, si traduce in una ridotta attività metabolica, capacità contrattile, squilibri osmotici ed elettrolitici.

Una composizione corporea che devia dal modello standard del soggetto adulto normopeso è anche quella di un soggetto con obesità severa, dove la massa grassa può risultare raddoppiata e quella magra lievemente aumentata per adattarsi al carico maggiore da sorreggere contro la forza di gravità. I compartimenti di acqua intra ed extracellulare si modificano altrettanto e quest’ultima tende a superare il 40% di tutta l’acqua corporea, interessando principalmente un accumulo di fluido linfatico nello spazio interstiziale che provoca un elevato ristagno di proteine per incapacità del sistema di drenare i liquidi. Il linfedema è una condizione patologica spesso associata all’obesità e ulteriore amplificatore dello stato di low-grade chronic inflammation: tanto maggiore è l’espansione dell’adipe sottocutaneo a carico soprattutto degli arti inferiori, tanto maggiore è la compromissione del sistema linfatico dovuta a compressione e infiammazione.

L’acqua che idrata l’ambiente intracellulare, più abbondante soprattutto nelle fibre muscolari, diminuisce come ci si può aspettare in persone con ridotte massa magra e muscolare: al di là del soggetto anziano, sedentarietà e magrezza estrema (anoressia, cachessia) sono le cause più frequenti. Sul polo opposto ci sono invece gli atleti, soprattutto di sport di potenza e con livelli sopra la media di massa muscolare. 

Il compartimento extracellulare ossia l’acqua che circola esternamente alle cellule, gestisce variazioni di volume e di concentrazione di cellule o soluti disciolti che sono alla base di innumerevoli funzioni: dall’assimilazione di sostanze nutritive, al mantenimento della pressione arteriosa entro range più o meno contenuti, dalla propagazione dell’infiammazione, al controllo dei sistemi di feedback di processi endocrini o neuroendocrini (vedasi la regolazione della glicemia).

Soggetti molto magri vengono non a torto etichettati come “secchi”: oltre ad avere cellule disidratate, presentano valori bassi di acqua extracellulare, analogamente a soggetti di età avanzata che, contestualmente spesso a problemi neurologici, non bevono perché non avvertono lo stimolo della sete. 

In una donna in età fertile, nella settimana che precede l’avvio della mestruazione o in gravidanza, la vasodilatazione indotta dall’aumento dei livelli ormonali (estrogeni e progesterone), porta a ritenere più acqua principalmente a livello di piedi e caviglie.

L’acqua corporea si modifica anche in stati patologici, dai più comuni come la febbre o l’influenza, a quadri di scarso drenaggio linfatico, insufficienza renale o cardiaca: in tutti questi esempi citati, è l’acqua extracellulare a subire variazioni più cospicue.

Bilancia: istruzioni per il NON uso

Quando varia la composizione corporea è perché c’è stata anche una variazione nel contenuto di acqua. Il peso corporeo è un proxy di questa modificazione e che possiamo misurare anche noi, in assenza di strumentazioni avanzate come il bioimpedenziometro: il peso misurato il giorno successivo a un pasto ricco in carboidrati, come la pizza, sarà aumentato in virtù dell’aumento di acqua, perché i carboidrati, essendo idrofili, richiamano acqua. Il calo ponderale che fa seguito alle prime settimane di una dieta ipocalorica o a basso tenore di carboidrati è imputabile alla sola perdita di acqua, perché l’esaurimento delle riserve di glicogeno nel fegato, la forma di stoccaggio del glucosio, trascinano con sé 2.5 g di acqua per grammo di glicogeno.

I regolatori della normoidratazione

Il cervello si adopera costantemente per preservare il volume di acqua corporea totale, che è suscettibile di una leggera variazione giornaliera dello 0.5%, e l’omeostasi idroelettrolitica, che si mantiene in un intervallo di osmolarità plasmatica di 285–295 mOsm/kg.

In un intervallo ampio di introito di liquidi al giorno da bevande e alimenti (per le donne stimato mediamente tra 1.3 e 6.1 litri; per gli uomini tra 1.7 e 7.9 litri), il nostro direttore di orchestra si impegna a proteggerci dalla disidratazione attraverso risposte neuroendocrine (livelli plasmatici di ormone antidiuretico), in sinergia con l’azione di altri nervi autonomi e organi endocrini che producono ormoni.

Perché ci viene sete

il riflesso della sete dipende prioritariamente dal centro della sete localizzato nell’ipotalamo anterolaterale. Diversi sono i “trigger” di questo stimolo:

  • incrementi anche contenuti (2%) nella quantità di soluti disciolti per kg di soluzione acquosa (in gergo, osmolalità) e, nella fattispecie, soprattutto il sodio extracellulare e il potassio intracellulare;
  • riduzione del volume dei liquidi corporei come il plasma (che si riflette nella riduzione della pressione arteriosa, altro “interruttore” della sete);
  • condizioni di stress, per preparare l’organismo alle risposte innate di fuga o combattimento.

Al di fuori del monitoraggio a livello centrale, contribuiscono a regolare l’assunzione di liquidi anche fattori periferici, come secchezza della mucosa di cavità orale e faringe.

Funzioni dell’ormone antidiuretico

Nell’uomo e in altri mammiferi, per preservare il bilancio idrico la risposta dello stimolo della sete fa il paio con la funzione dell’ormone antidiuretico (ADH) o arginina vasopressina (AVP), secreto sempre in risposta a un aumento di osmolarità plasmatica o diminuzione della volemia. 

Si tratta di un polipeptide formato da una catena di 9 aminoacidi prodotto da neuroni che originano nei nuclei sopraottici e paraventricolari dell’ipotalamo e che proiettano i loro assoni attraverso il peduncolo ipofisario per terminare infine in corrispondenza dei plessi capillari sparpagliati nell’ipofisi posteriore. La neuroipofisi è la nota sede di deposito della vasopressina ma anche dell’ormone che causa la contrazione uterina nelle fasi del travaglio e del parto e l’eiezione del latte, l’ossitocina. Dai plessi capillari l’ormone viene scaricato nella circolazione sistemica e la destinazione elettiva è il rene, che risponde al suo segnale conservando acqua e producendo urine meno voluminose e più concentrate. 

Così, se c’è l’allerta disidratazione, il corpo elimina meno acqua e l’acqua trattenuta ripristina il bilancio idroelettrolitico dei fluidi corporei, sangue compreso, che viene diluito, si abbassa la sua osmolarità, aumenta di volume e conseguentemente aumenta anche la pressione.

Quando l’ormone antidiuretico viene messo in stand by 

L’evoluzione sulla terraferma ha affinato di specie in specie il talento di ridurre la perdita di acqua, la quale tuttavia può essere in un certo senso hackerata, fisiologicamente o patologicamente. Una circostanza che mette a dura prova la vasopressina è il consumo di alcol: abbiamo sperimentato tutti il bisogno aumentato di dover andare in bagno dopo aver bevuto, e questo perché la molecola psicoattiva dell’alcol, l’etanolo, raggiunge velocemente la barriera ematoencefalica e in corrispondenza dell’asse ipotalamo-ipofisi inibisce la produzione della vasopressina. La risposta dell’aumento della diuresi non è quindi giustificata da uno stimolo spia di uno squilibrio interno. La secrezione di vasopressina può essere altresì inficiata da alcune sostanze come la fenitoina, principio attivo ad azione antiepilettica e antiaritmica, da patologie oncologiche, disturbi infiltrativi che coinvolgono l’ipofisi posteriore, e da traumi cerebrali. 

Il razionale dietro l’uso di farmaci eliminatori o risparmiatori di acqua

Sul versante farmacologico si può potenziare o depotenziare la capacità di conservare l’acqua corporea per contrastare o attenuare sintomi e complicanze di ipertensione, insufficienza cardiaca o insufficienza renale. L’aumento della diuresi è un tool di un gruppo di farmaci antipertensivi della classe dei diuretici, che agiscono con diversi meccanismi di azione sottostanti ma che in definitiva aumentano produzione ed eliminazione di urina e di compenso riducono il volume di plasma che esercita pressione sulla parete dei vasi sanguigni. La vasopressina è invece il target dei vaptani, farmaci diuretici innovativi che si legano ai recettori dell’ormone antidiuretico impedendo la sua azione: a differenza dei classici diuretici, promuovono l’escrezione di acqua senza la contemporanea perdita di elettroliti.

In teoria tutto funziona, ma fino a un certo punto

Al netto di malattie acute o croniche, sappiamo inoltre che non possiamo bere ad libitum o permetterci di non bere a lungo: c’è un limite inferiore di assunzione di acqua oltre il quale l’ormone del suo risparmio non è più in grado di ridurre il volume urinario perché altrimenti il rene non potrebbe eliminare un dato carico di soluti disciolti. Questo minimo obbligatorio, in una dieta standard, è di circa 6-10 ml/kg di peso corporeo/giorno: in un uomo di 70 kg, significherebbe bere meno di 700 ml di acqua da alimenti e bevande, eventualità rara ma non da escludere a priori. Un altro problema connesso alla vasopressina è che ha un’abilità di ridurre l’evaporazione di acqua dalla cute e dai polmoni che rasenta lo 0: queste perdite extrarenali di acqua a temperatura ambiente e in soggetti sedentari si approssimano a 10 ml/kg di peso corporeo/giorno ma possono moltiplicare con l’attività fisica e l’esposizione al calore.

Disidratazione: segni e sintomi, cause, fattori di rischio 

Di disidratazione non si sente parlare tanto quanto della malnutrizione, ma è altrettanto un problema serio e normalmente sono 2 facce della stessa medaglia: un soggetto che versa in uno stato di malnutrizione sarà anche disidratato, e ne avremo un riscontro immediato dalla valutazione della sua composizione corporea.

A metterci a rischio di disidratazione sono diverse cause: fatto salvo l’introito di acqua inferiore al fabbisogno e la controparte del sale in eccesso, tra quelle più comuni abbiamo sudorazione profusa, attività fisica, vomito, diarrea, uso di diuretici in particolare della classe dei tiazidici e soprattutto negli anziani, ustioni, aspirazione di liquido della cavità pleurica (l’area tra i due foglietti che ricoprono i polmoni), insufficienza renale. 

La composizione corporea di un anziano è quella di un corpo disidratato: pochi e raggrinziti muscoli, e più massa grassa a parità di peso rispetto a un uomo più giovane. A questo si somma la depressione del centro della sete e non di rado demenza e altri disturbi neurologici, che non fanno altro che ritardare la risposta cosciente di bere un bicchiere d’acqua quando magari la disidratazione sta già dando sintomi di grado moderato-grave.

Se il centro della sete funziona correttamente, non sempre la “colpa” della disidratazione è da imputare allo scarso introito di liquidi: nel diabete, ad esempio, quando il rene non riesce più a riassorbire il glucosio, questo viene eliminato trascinando con sé anche l’acqua e pertanto aumenta l’escrezione urinaria. 

La sete è un campanello di allarme che andrebbe idealmente prevenuto, perché deriva già da uno stato di disidratazione. Se per distrazione non si percepisce questo bisogno, a una riduzione delle entrate il corpo riduce le uscite per far quadrare i conti. Oltre alla percezione della sete, diminuisce la diuresi e le urine da giallo paglierino diventano via via più scure, si riducono sudorazione ed elasticità cutanea, e si avverte la tipica secchezza delle fauci. Quando la disidratazione diventa grave, potrebbe controintuitivamente ridursi la sensazione di sete e con il calo pressorio possono comparire vertigini e progressivamente aumenta il rischio di svenimento, soprattutto quando ci si alza. Progredendo più in là, si arriva a shock e alla compromissione di organi viscerali (reni, fegato) e cervello, il quale perde di efficienza e la confusione è tra i marker di gravità dello stato di disidratazione. Coma e decesso sono infine incombenze inevitabili.

Iperidratazione: sì, può capitare anche quella

Pur essendo meno argomento di discussione, l’iperidratazione può manifestarsi, se il corpo assume o ritiene più acqua di quella eliminata attraverso la reazione di attivazione della diuresi e diminuzione della vasopressina in circolo. 

Normalmente è inconsueto che in soggetti sani bere troppo determini iperidratazione, perché ci sono meccanismi di retroazione per cui il superamento del normale stato di idratazione corporea determina una maggiore attivazione della diuresi e riduzione della vasopressina in circolo che spengono lo stimolo della sete. lo stimolo della sete. L’iperidratazione è spesso conseguenza di un malfunzionamento dei reni che non riescono a espellere l’acqua in surplus e si manifesta, a seconda di fattori predisponenti del soggetto, con edema agli arti inferiori (le gambe gonfie), aumento della pressione sanguigna, problemi di respirazione dovuti alla presenza di liquido nei polmoni e, analogamente alla disidratazione, squilibri elettrolitici che sono il dietro le quinte di aritmie cardiache, stato confusionale, crampi muscolari, confusione e altri sintomi cognitivi.

L’intossicazione acuta da acqua nello sportivo

La prova che Paracelso aveva ragione quando affermava che “è la dose che fa il veleno” viene anche dal prendere atto che persino tanta acqua bevuta tutta d’un fiato può determinare una forma acuta di intossicazione. Fatta eccezione per le malattie mentali, un caso esemplare è quello dello sportivo di endurance, come il maratoneta, quando sbaglia nel tipo di acqua che assume. Bere acque povere di sodio aggrava la preesistente iponatremia, causata da ipersudorazione e carenza di sali minerali, dando i sintomi tipici dell’intossicazione acuta: nausea e vomito, cefalea, stati confusionali e vuoti di memoria.

Passiamo alla pratica: quanto dovremmo bere

L’opinione comune da chiacchierata da bar secondo cui dovremmo senza eccezioni bere 1 litro e mezzo o 2 litri d’acqua al giorno fa acqua da tutte le parti, per restare in tema.

E’ un tema caldo che ha fatto e fa tuttora discutere gli esperti in materia, perché determinare il fabbisogno idrico da soggetto a soggetto è un compito arduo e da un giorno all’altro la domanda individuale del proprio corpo può variare in base ad attività fisica, fattori meteorologici, contenuto di acqua alimentare, kcal della dieta. La conclusione è che per essere scientificamente rigorosi dovremmo accettare che in realtà non c’è un singolo fabbisogno giornaliero di acqua per un determinato soggetto.

L’acqua dei compartimenti corporei subisce un regolare turnover, ovvero viene sostituita grazie al bilancio tra le uscite e l’acqua che ingeriamo o quella endogena, frutto dell’ossidazione dei vari substrati energetici. Il ricambio di acqua dipende da tasso metabolico, perdite per evaporazione e svariati altri fattori. In neonati e lattanti, può arrivare fino al 15% della massa corporea al giorno e ciò si traduce in maggiori richieste di acqua. Raggiunta l’età adulta, il turnover dell’acqua incrementa in termini assoluti, ma è minore per kg di peso corporeo, restando inferiore nel sesso femminile e arrivando a circa il 3 – 4%. 

Da che dati si parte per determinare il fabbisogno idrico di una popolazione

Le soglie neuroendocrine con cui il corpo riesce a mantenere volume di acqua corporea e omeostasi elettrolitica, al netto di molto lievi variazioni, in combinazione con studi di popolazione per stimare l’intake totale di acqua giornaliero, può aiutare a collocare in maniera più accurata l’intervallo di valori ideali di fabbisogno idrico in una specifica classe di età e sesso. A patto che vengano rispettate alcune condizioni: ricambio idrico relativamente costante, non eccessivi calore o umidità, trascurabile attività fisica, consumo di una dieta nella media di popolazione, disponibilità di acqua a sufficienza per un’idratazione ad libitum.

Il fabbisogno idrico: valori medi e come stimare il proprio

La sorgente più affidabile per soddisfare la nostra sete di corretta informazione scientifica proviene dalle linee guida della Società Italiana di Nutrizione Umana, i cosiddetti LARN, acronimo di Livelli di assunzione giornaliera di acqua di riferimento per la popolazione italiana.

Il fabbisogno giornaliero di acqua totale è suddiviso per classe di età e, a partire dall’adolescenza, per sesso.

  • Neonati e lattanti fino a 12 mesi: 800 ml di acqua al giorno (oppure 1.5 ml/kcal ingerita dal latte o pasti complementari);
  • Bambini 1-3 anni: 1200 ml al giorno;
  • Bambini 4-6 anni: 1600 ml al giorno;
  • Bambini 7-10 anni: 1800 ml al giorno;
  • Adolescenti maschi 11-14 anni: 2100 ml al giorno;
  • Adolescenti maschi 15-17 anni: 2500 ml al giorno;
  • Adolescenti femmine 11-14 anni: 1900 ml al giorno;
  • Adolescenti femmine 15-17 anni: 2000 ml al giorno.

Per convenzione si definisce adulto un soggetto dai 18 ai 59 anni, età che demarca la lenta transizione all’età avanzata: in questo ampio intervallo soggetti maschili di corporatura media dovrebbero introdurre circa 2.5 litri al giorno, come già dovevano essersi abituati a fare in tarda adolescenza, mentre soggetti di sesso femminile, con meno acqua corporea a parità di peso, dovrebbero continuare, se già lo facevano, a bere almeno 2 litri. 

Tutti i valori numerici finora elencati, da quelli per i neonati a quelli per gli adulti, fanno tuttavia riferimento a degli standard tarati in base alla media della curva di popolazione italiana; pertanto, si deve sempre rimandare al concetto di probabilità e che ognuno, soprattutto in ragione di stile di vita, composizione corporea e fattori ambientali, potrebbe scostarsi di molto dalle indicazioni delle linee guida.

In funzione della variabile inclusa nell’equazione, un adulto potrebbe stimare il proprio fabbisogno con svariate trucchi:

  • 1 ml/kcal/die (se adeguatamente educato su come calcolare l’introito calorico giornaliero)
  • 30 ml/kg di peso corporeo
  • peso corporeo ideale (o reale, se normopeso) moltiplicato per un fattore 3.5

Discorso a parte da dedicare a donne in gravidanza e in allattamento e anziani. Il fabbisogno idrico in una persona anziana che non soffre di particolari patologie è di circa 20-25 ml/kg di peso corporeo.

Una donna in gravidanza che deve introdurre più kcal con la dieta e vede una espansione del volume del plasma sanguigno contestualmente ad altre modificazioni nella composizione corporea, dovrebbe assumere in aggiunta al loro fabbisogno da non gravide 230 ml/die nel secondo trimestre e 450 ml/die nel terzo trimestre. In allattamento, dove si può arrivare a regime a secernere fino a 700-800 ml di latte al giorno, l’aggiunta da fare dovrebbe essere di almeno 700 ml.

Fonti di acqua esogena: alimenti e bevande

L’acqua come molecola “scarto” dei processi metabolici di scomposizione dei nutrienti derivanti da quello che mangiamo arriva circa a 350 ml (1.5 bicchieri da tavola medi), senza ombra di dubbio un quantitativo insufficiente per compensare le perdite con urina, sudore, feci, lacrime, traspirazione, ecc. Indi per cui, una volta sensibilizzati sul quanto dovremmo bere, il passo successivo è chiedersi come assumere l’acqua al di fuori di quella in bottiglia e perciò quali alimenti contengono più acqua e quali ne sono quasi privi.

In una dieta varia che non trascura nessun gruppo alimentare, il contenuto di acqua dei vari alimenti oscilla tra il 20 e il 40% del loro peso totale.

Le 5 porzioni complessive di frutta fresca e verdura che dovremmo consumare giornalmente ci sono di grande aiuto a raggiungere il nostro fabbisogno idrico. Salvo poche eccezioni come banana e avocado, si tratta di alimenti molto ricchi di acqua, totalizzando una percentuale superiore all’80%: in cima alla classifica ci sono cetrioli e anguria, con rispettivamente il 96.5% e il 95.3% di acqua e di riflesso pochissime calorie per porzione. 

I secondi piatti fonte di proteine hanno contenuti variabili: uova e pesce circa il 60-80%, carne 40-65% (manzo, pollo, agnello, maiale, vitello), formaggi 20-65% (a seconda se a a pasta dura e più stagionati o freschi).

Il pane, in funzione del rapporto crosta/mollica, può accogliere acqua per il 30-40% del suo peso, mentre biscotti, fette biscottate e grissini scendono a meno del 10%. Una nota a margine spesso riportata sul foglio della dieta è che il peso si riferisce all’alimento crudo. Questo perché con il processo di cottura, nel caso di alimenti secchi come pasta e riso, viene assorbita acqua e quindi il peso tende a raddoppiare: la pasta di semola cotta ha dal 75 all’85% di acqua, il riso dal 65 al 70%.

La frutta secca si distingue in zuccherina (mele essiccate, albicocche, castagne), con il 25-40% di acqua, e oleosa (mandorle, nocciole, noci, ecc), con il 5-10%.

I piatti routinari dei centenari italiani, zuppe e minestroni, sono naturalmente una fonte preziosa di vitamine e minerali disciolte in una quantità di acqua abbondante, pari all’80-95%.

Siamo infine un’occhiata all’immenso  delle bevande che possono agevolare il raggiungimento delle richieste di acqua del nostro corpo perché, oltre a una quota di acqua superiore al 90%, sono piacevoli al gusto o con altre funzioni energetiche, psicotrope e di miglioramento delle performance cognitive e fisiche. 

In breve, oltre a una dieta ricca in frutta, verdura e legumi, il consiglio di un nutrizionista è di mettere a tavola o portare con sé principalmente l’acqua, ma se l’abitudine a bere nella vita quotidiana è dura a consolidarsi, preferire tisane, tè e caffè decaffeinati (la teina è sinonimo di caffeina), spremute o centrifugati di frutta e verdura senza zuccheri aggiunti a quelli naturalmente presenti. 

Sul versante delle bevande da limitare o bandire ci sono tutte le altre: bevande gassate e zuccherate, tè e caffè zuccherati, succhi di frutta, spremute e centrifughe con zuccheri aggiunti, e ovviamente le bevande alcoliche e superalcoliche.

L’Italia è la patria della dieta mediterranea e a fianco del modello della piramide alimentare, frutto di anni di ricerca clinica ed epidemiologica, viene menzionato un prodotto simbolo della nostra tradizione che è il vino rosso: viene detto di bere con moderazione, che tradotto nel linguaggio dei nutrizionisti significa non superare i 2 bicchieri al giorno per gli uomini fino ai 60 anni e un bicchiere per le donne non in gravidanza. 

Tips and tricks per bere meglio e di più 

Una domanda che può sembrare scontata è come bisognerebbe bere: il suggerimento migliore per idratarsi senza ostacolare i processi digestivi è quello di bere a piccoli sorsi 1-2 bicchieri durante i pasti, 4 bicchieri in totale al mattino e altri 4 nel pomeriggio e sera. Per ricordarsi di bere anticipando il senso di sete possono tornare validi app, timer preimpostati, promemoria di ogni tipo e tenere sempre a portata di mano una bottiglia o un thermos, anche se all’interno delle mura di casa. Tisane e acque aromatizzate, banalmente spremendo una fetta di limone, possono dare un rinforzo positivo e indurci ad aumentare, consapevolmente o meno, le nostre entrate di acqua.

E se ci volessimo provocare un leggero rialzo di dopamina senza bere nient’altro che acqua senza additivi naturali o artificiali, perché no, potremmo sperimentare l’utilizzo di speciali borracce in commercio che sfruttano l’olfatto retronasale: tramite una miscela di acqua e aria (quest’ultima riempita di aroma) all’interno della cannuccia, dei particolari recettori olfattivi inviano il gusto al cervello, rendendo l’atto del bere un momento ancora più gratificante.

Non dobbiamo mai berci sopra: take-home message in bottiglia

L’ontogenesi ricapitola la filogenesi: parafrasando, come il complesso degli organismi viventi hanno iniziato nell’acqua, così l’orologio della vita umana e animale inizia a ticchettare in acqua. Tra i protagonisti della biologia l’acqua ha una posizione di prestigio, la sua struttura chimica determina delle proprietà uniche che si espletano nelle innumerevoli sopracitate funzioni metaboliche, cellulari e nella scala macroscopica di organi e apparati. Come abbiamo ampiamente dimostrato, l’acqua è un alimento e il segnale della sete è già una risposta alla disidratazione, che ci affatica e non ci permette di ragionare e muoverci efficientemente. Imparare ad ascoltare il proprio corpo abbinato a una dose di conoscenza sono fondamentali: lo stile di vita può essere più facilmente corretto e i piaceri della vita goduti al meglio, senza rimanere mai a bocca asciutta.

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Biologa Nutrizionista, affamata di scienza e con il pallino per la scrittura. Nei limiti del fabbisogno informazionale dell’utente medio, scrivo articoli a tema alimentazione e nutrizione umana per incuriosire, appassionare, ma anche educare a un rapporto sano con il cibo e con il proprio corpo.