La luce in fondo al tunnel della Food Addiction non è quella del frigorifero: conosciamola, affrontiamola e facciamo prevenzione.

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Perché abbiamo fame?

Tra uno stimolo di qualsivoglia natura e la risposta di attivazione neuromotoria non c’è mai una freccia termodinamica obbligata; bensì, si tratta piuttosto di un fenomeno probabilistico, perché innumerevoli sono le variabili coinvolte.

Nel caso dello stimolo altamente sofisticato della fame, nell’uomo e negli animali “superiori” c’è un maggiore livello di complessità: diversi tipi di fame sottendono a diversi meccanismi e cause scatenanti. 

In primis, esiste una fame “omeostatica”, dettata dalla ricerca di equilibrio che contraddistingue i sistemi viventi (dal greco omeo – “simile” e stasi – “posizione”). Stomaco vuoto e segnali neuro ormonali, spie di uno stato di esaurimento delle nostre riserve energetiche, fanno leva su questo stimolo biologico perché i loro target sono proprio quei centri cerebrali che governano il senso di fame e sazietà all’interno di specifici nuclei ipotalamici.

Emozioni, stress, ricordi, gusti personali e aspetti organolettici intrinseci agli alimenti riguardano invece una fame evolutivamente più giovane, che calata in un contesto di benessere socioeconomico e vasta disponibilità di cibo prende il sopravvento sulle nostre mere sensazioni fisiche e necessità fisiologiche. Si tratta della fame “edonica” (dal greco hēdonḗ – “piacere, godimento”), azionata dal desiderio di alcuni cibi perché in grado di suscitare appagamento e altre emozioni positive. 

E’ vero: a conoscerla si potrebbe argomentare che sempre di un tentativo di omeostasi si tratta. Effettivamente, quando questa scavalca la fame dello stomaco può esserci alle spalle uno stato di squilibrio psicologico. In soggetti predisposti, una condizione di umore disforico può trovare uno sfogo nell’estatica esperienza di gustare il proprio succoso, appetitoso, fragrante, “ipersalivante” oggetto del desiderio.

Food Addiction: dietro le quinte della risposta comportamentale alla fame edonica

Pur essendo sazi e sapendo, ognuno di noi, di essere facili prede della gola, come e perché “scegliamo” di dirigerci nella direzione di un frigorifero o di una pasticceria? E perché alcuni soggetti ne hanno una maggiore inclinazione? 

L’intenzionalità e il movimento dei muscoli scheletrici non dipendono dal sistema nervoso autonomo e teoricamente potremmo essere sempre in grado di mantenere il controllo.

Diamo un senso allora al concetto di probabilità o principio di indeterminazione, per il quale non è scontato che ci sia una risposta, e quella precisa risposta, a un dato stimolo.

Contesto ambientale, condizione individuale e sostanza cibo innescano una circuiteria cerebrale che può o meno condurre il soggetto a ricercare e consumare la propria fonte di nutrimento e di ricompensa, in diversa entità e coazione a ripetere.

Anche nel fenomeno complesso e sovrastrutturato del comportamento alimentare, l’evidenza empirica e della letteratura mostrano chiaramente che variabili ambientali (centri urbani, solitudine, povertà) e intrinseci al soggetto (predisposizione genetica, percezioni ed emozioni, apprendimento di modelli affettivi e alimentari disfunzionali, vissuti traumatici) possono dare la giusta alchimia per l’instaurarsi di un disturbo della nutrizione o un disturbo da uso di sostanze come la Food Addiction. 

Dopamina e reward system 

Il grado di piacere esperito, la salienza motivazionale, l’apprendimento e la naturale tendenza a ripetere un’azione che ha appagato i nostri sensi sono tutti configurati nel vasto e sfaccettato sistema di gratificazione, costituito dal circuito corteccia – gangli basali – talamo e che si basa principalmente sul neurotrasmettitore dopamina. 

Una sostanza o un comportamento che creano assuefazione inducono una significativa sensazione di piacere perché iper-attivano il suddetto sistema di gratificazione cerebrale. In che modo? Determinando una massiccia produzione di dopamina che a differenza delle ricompense naturali continua a propagare il segnale a valle perché viene meno la sua ricaptazione.

Agiscono anche altri neurotrasmettitori e sono diverse le strutture anatomiche coinvolte (amigdala, ippocampo, corteccia prefrontale, ecc), e con l’assunzione continuativa della sostanza o la perseveranza nel praticare un comportamento disfunzionale si arriva a un cortocircuito delle nostre capacità di autocontrollo. 

Parimenti a droghe, tabacco, farmaci e gioco d’azzardo, anche il cibo può costituire fonte di “craving”, un desiderio crescente e irrefrenabile che se non esaudito può provocare sofferenza fisica e psichica, con sintomi quali astenia, anoressia, ansia, insonnia, irritabilità, aggressività, depressione o iperattività.

Gettate le giuste premesse di set (stato psicofisico del soggetto) e setting (ambiente nelle sue diverse declinazioni), e come per oppioidi e altre droghe, la motivazione a iper-alimentarsi può essere tale da diventare compulsione e determinare un certo grado di tolleranza. 

Effetti acuti e cronici delle droghe

Durante l’inconsapevole ingresso nel tunnel della droga, uno stato di riduzione del rilascio tonico di dopamina disinibisce il rilascio fasico, quello che produce gli spikes (i picchi) improvvisi e massicci, rendendo il sistema dopaminergico più responsivo.

In cronico, aree del cervello chiave nel sistema di reward, come il nucleo accumbens, riducono il loro metabolismo portando a una attenuazione assoluta o relativa della risposta dopaminergica secondaria all’assunzione della sostanza. Si potrebbe in un certo senso parlare di dopamino-resistenza, perché i recettori della dopamina rispondono meno bene o ce ne sono di meno perché si riduce l’attività dei geni che codificano per la loro sintesi. 

Da qui si spiega il fenomeno della tolleranza, comunissimo anche nei tossicodipendenti da cibo, che non soltanto determina l’esigenza ineluttabile di assumere sempre più alimenti appetitosi e ipercalorici, ma rende completamente insensibili a qualsiasi altra fonte di ricompensa naturale. Tipicamente, ogni alimento a cui appioppiamo l’aggettivo “sano”: frutta, verdura, ortaggi e qualsiasi prodotto in scaffale con una lista degli ingredienti molto breve, senza additivi, emulsionanti, sale e zuccheri aggiunti.

Non tutti i cibi creano assuefazione 

Riguardo al comportamento alimentare, ad accendere all’impazzata i nostri hotspots edonici cerebrali ci pensano per l’appunto i cibi industriali particolarmente ricchi in sale, grassi e zuccheri semplici. Ingredienti che in sinergia e alla loro giusta concentrazione aumentano il rilascio di dopamina ed endorfine in maniera sovra fisiologica. 

Il bliss point così raggiunto, il punto di massima beatitudine che volgarmente possiamo definire “sballo”, sarà il motore che spingerà nuovamente il desiderio e la ricerca della ricompensa. Rendendo il soggetto, in maniera più o meno inconsapevole, dipendente a tutti gli effetti. 

Food e Drug Addiction: analogie e differenze 

La dopamina segue ma anche precede l’uso della sostanza e anche nella fattispecie della Food Addiction è il mediatore chiave dell’apprendimento per rinforzo.

Mai occasione è più azzeccata per citare una massima del filosofo tedesco Lessing: “l’attesa del piacere è il piacere stesso”. I sintomi della Food Addiction, infatti, durante il momento di craving o di anticipazione della gratificazione, correlano con pattern di attivazione del sistema dopaminergico del tutto paragonabili agli utilizzatori di nicotina, alcol o cocaina. 

Le classiche droghe di abuso, tuttavia, aumentano la dopamina spesso attraverso effetti farmacologici diretti o, indirettamente, attraverso i sistemi oppioide, nicotina, GABA o cannabinoide, e questo significa che normalmente lo spike del rilascio fasico è molto più ripido.

Viceversa, gli stimoli da cibo modulano gli oppioidi endogeni e cannabinoidi in funzione della palatabilità, uno stimolo di rinforzo positivo, e parimenti causano incrementi ritardati della dopamina in funzione dell’aumento di glucosio e insulina. Quindi spikes meno pendenti ma che non precludono i cambiamenti cerebrali che determinano tolleranza e craving patologico.

Dal DSM-V alla YFAS

Sotto l’ombrello della dipendenza da uso di sostanze, categoria inserita a pieno titolo nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V), troverebbe la sua collocazione diagnostica anche la Food Addiction.

In questa ottica, per dovere di completezza, elenchiamo i principali sintomi o comportamenti disfunzionali campanelli di allarme di un disturbo di addiction:

  • insorgenza di tolleranza, ovvero la necessità di consumare dosi crescenti di sostanza per avere lo stesso effetto o, a parità di dose, sperimentare una riduzione di effetto;
  • sintomi di astinenza alla cessazione dell’assunzione della sostanza e l’uso della stessa nel tentativo di attenuarli;
  • un uso e abuso della sostanza sempre maggiore in quantità o durata nel tempo, anche se contro la propria volontà e nonostante sintomi psicofisici invalidanti causati o esacerbati dalla sostanza stessa;
  • un desiderio persistente (o craving) per la sostanza accompagnato da continui sforzi fallimentari nel cercare di ridurne la dose;
  • un dispendio di tempo ed energie sempre maggiori per procurarsi la sostanza o per recuperare dai suoi effetti;
  • allontanamento sociale e dalle attività occupazionali e ricreative.

Nel tentativo di fornire un approccio standardizzato nella corretta valutazione della Food Addiction, per fare chiarezza su analogie e differenze rispetto ad esempio a dipendenza da cocaina o gioco di azzardo, è stata messa a punto una scala a 25 item, la Yale Food Addiction Scale: se c’è una significativa compromissione clinica e distress psicologico e sussistono minimo 3 dei criteri sopra delineati per almeno un anno, si può diagnosticare la presenza di dipendenza da cibo.

Intersezioni tra obesità, BED e (non solo Food) Addiction 

Le statistiche evidenziano che, in particolare negli obesi, è sempre presente il desiderio o craving, l’incapacità di smettere di “drogarsi” di cibo nonostante gravi sintomi fisici e psicologici, e la tolleranza. 

Inoltre, se paragonati a quelli di campioni di soggetti normopeso, i tassi di prevalenza della Food Addiction raddoppiano nei soggetti malati di obesità e aumentano di un fattore da 3 a 5 nei quadri di obesità morbigena candidabili a chirurgia bariatrica o negli individui affetti da BED. 

Non è neppure infrequente la migrazione transdiagnostica tra Substance Use Disorder e BED o Food Addiction, a riprova delle forti analogie tra tutti questi disturbi. 

Gli studi dimostrano che BED e obesità soprattutto di terzo grado o severa sono correlate a una iperattivazione indotta dal cibo, soprattutto se iperpalatabile e appetitoso, delle vie dopaminergiche mesolimbiche della gratificazione, in maniera del tutto comparabile a processi osservati negli utilizzatori di droghe “convenzionali”. 

Il valore di rinforzo che deriva dal cibo e che consolida l’abitudine di sovra alimentarsi in diversi studi è emerso essere positivamente correlato all’indice di massa corporea: in altri termini, maggiore il peso corporeo, rapportato al quadrato dell’altezza, maggiore la propensione a rispondere agli stimoli edonici del cibo. Malauguratamente, questo fa di frequente il paio con un quadro clinico di insulino- e leptinoresistenza che determina una ridotta attivazione dei centri cerebrali del senso di sazietà.

La complessa eziologia del disturbo annovera anche fattori genetici ed epigenetici: uno fra tanti, la presenza della variante allelica A1 del gene che codifica per il recettore D2 della dopamina è stata associata a obesità e disordini da uso di sostanze.

Il miglior modo per uscirne è non entrarci: gli svariati aspetti della prevenzione

Si potrebbe disquisire a lungo, tanto è multifattoriale il disturbo, su quello che si sta cercando di comprendere circa i fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento della Food Addiction, ma è altrettanto importante essere pragmatici e fare qualcosa subito per proteggerci, difenderci e combattere uno dei tanti mali del mondo occidentale contemporaneo quale è la dipendenza.

L’obesità spesso concomitante è anch’essa una patologia multifattoriale e pertanto multidisciplinare deve essere la presa in carico del paziente. A livello di popolazione, è importante però come sempre sensibilizzare ed educare a un sano rapporto con l’alimentazione. Al tempo stesso, non si può negare la valenza del supporto psicologico affinché scompensi psicofisici e strategie di marketing, territorio quest’ultimo dove la stessa psicologia la fa da padrona, non ci persuadano, giocando sulle nostre fragilità, a consumare in modo spropositato fino al punto di consumare noi stessi.

Proprio come si è evinto dal famoso esperimento del “Rat Park” del 1977 e dall’involontario esperimento del lockdown forzato durante le ondate di pandemia da COVID-19, è possibile contravvenire alla tendenza innata o acquisita ai comportamenti disfunzionali della dipendenza circondandoci di tanti stimoli positivi, uscendo di casa quando possibile e intrattenendo relazioni centrate su ascolto ed empatia.

Procedendo per step, l’informazione da fonti verificate e attendibili può rappresentare il primo passo per una corretta prevenzione: per non imbatterci in conseguenze negative sulla nostra salute, basterebbe innanzitutto adottare uno stile di vita di tipo mediterraneo, a basso tenore di zuccheri semplici, grassi saturi di origine animale e sale.

Dopodiché, sempre in tema di prevenzione nella fase di disordine e non di vero e proprio esordio del disturbo, c’è il turno dell’ambiente stimolante, della psicoterapia, ma anche il semplice atto sottovalutato del mangiare bene, decostruendo il concetto del cibo da attributi di colpa o ricompensa. Più un pasto è completo, bilanciato e soddisfacente al palato, più ci permettiamo di assecondare piccole voglie innocenti e meno ci sacrifichiamo in regimi dietetici altamente prescrittivi e restrittivi, più calmierato sarà il bisogno di strafogarci di dolci, fritti, patatine, hamburger ecc.

Vale per la Food Addiction e per tutti gli altri tipi di dipendenze patologiche: lo “human park” non deve essere confinato all’esterno, perché dobbiamo in prima battuta evadere dalle gabbie che ci hanno o ci siamo costruiti dentro di noi.

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Biologa Nutrizionista, affamata di scienza e con il pallino per la scrittura. Nei limiti del fabbisogno informazionale dell’utente medio, scrivo articoli a tema alimentazione e nutrizione umana per incuriosire, appassionare, ma anche educare a un rapporto sano con il cibo e con il proprio corpo.